Per la costituzione di una Borsa della Sardegna

Una caratteristica della Sardegna è la pressoché totale assenza di grandi imprese. L’unico gigante industriale è la Saras, che da sola rappresenta quasi la metà del fatturato di tutte le imprese dell’Isola. Ciò fa sì che per le imprese sarde la quotazione in Borsa sia un qualcosa di praticamente sconosciuto e, infatti, al momento, solo Saras, Tiscali e Banco di Sardegna risultano in listino a Piazza Affari, i cui requisiti sono troppo stringenti e i cui costi troppo elevati per le PMI sarde. Tutto ciò, sommato alle enormi difficoltà di ottenere finanziamenti da parte delle banche e all’inesistenza di forme di angel investing, fa sì che le aziende sarde, alla prima difficoltà economica, si trovino spesso costrette alla chiusura per mancanza di liquidità, o, nei casi migliori debbano navigare a vista in quanto non trovano i mezzi necessari per espandersi; mezzi ancora più indispensabili in una regione che, aggravata dalla distanza dalla terraferma, non gode di alcun tipo di incentivo particolare per le proprie imprese, che devono sobbarcarsi costi anticompetitivi per l’importazione delle materie prime e per l’esportazione dei prodotti finiti.
In virtù di quanto appena descritto, mi sembrerebbe auspicabile la creazione di una borsa valori locale, dove chiunque possa acquistare quote delle aziende sarde anche investendo piccole cifre che siano alla portata di un normale cittadino. Considerata la possibilità che le aziende non siano disposte a rinunciare neanche ad una piccola parte di controllo, ci si potrebbe limitare alla vendita di azioni senza diritto di voto(una sorta di crowdfunding).
La collettività avrebbe diversi vantaggi:
1) innanzitutto un modo per allocare i risparmi molto più redditizio dell’investimento sull’immobile (magari con mutuo annesso) o del conto corrente, ma più accessibile e semplice dell’investimento azionario classico;
2) la possibilità di canalizzare i risparmi verso le aziende invece che verso il mercato immobiliare normalizzerebbe quest’ultimo, evitando che si passi da crescite vertiginose dei prezzi, che rendono difficile per le famiglie comprare o affittare, a crolli improvvisi che portano a trovarsi con un immobile il cui valore è inferiore non solo a quello di mercato, ma persino a quello del mutuo che si sta pagando;
3) le aziende diminuirebbero notevolmente il proprio indebitamento e le crisi cicliche non decreterebbero il fallimento per debiti e il conseguente licenziamento dei lavoratori.
Inoltre, la possibilità di investire su aziende che distano, al massimo, qualche centinaio di km da casa, incentiverebbe la diffusione di una cultura economica e finanziaria, la cui attuale assenza è una delle cause principali del deserto industriale e della politica demagogica e populista; lo sviluppo di conoscenze in ambito economico incrementerebbe l’imprenditorialità, il ragionamento razionale e la capacità di compiere analisi costi-benefici e renderebbe i Sardi più competitivi sul mercato del lavoro, dotandoli di competenze oggi imprescindibili per svolgere lavori qualificati. Inoltre, contribuirebbe notevolmente alla diffusione di una cultura della legalità in ambito fiscale, in quanto incentiverebbe i consumatori-investitori a esigere maggiore trasparenza.

Per finire, una proposta bizzarra: dove potrebbe avere sede la Borsa della Sardegna? Perché non a Buoncammino, il carcere ormai abbandonato sul cui destino non si riesce a mettersi d’accordo? E’ in posizione baricentrica rispetto all’hinterland, ma senza i problemi di traffico e parcheggio del centro storico, ed è a due passi dalla Facoltà delle Scienze Economiche, Giuridiche e Politiche, coi cui studenti e professori potrebbe lavorare in sinergia.

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Updated: Aprile 21, 2016 — 1:34 pm

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